Un sogno che bisognava sognare: l’arte visionaria di Rubens Fogacci

L’arte di Rubens Fogacci è un luogo in cui soggetto e oggetto si incontrano, metafora e realtà convivono, originalità e tradizione si fondono; un percorso originale in continua evoluzione che mostra i caratteri di una ricerca intima dalle sfumature liriche. Nella linea curva si rintraccia l’eco di una dolcezza ricercata e perduta insieme, un afflato nostalgico e consapevole dell’unicità di un momento struggente. Scivola il pennello tra le mani di Fogacci per originare ricercate forme consapevolmente naïf, quasi a ricordare, come sosteneva Wittgenstein, che gli aspetti più importanti delle cose risultano spesso nascosti per via della loro semplicità e familiarità, che sono le cose che vediamo ogni giorno a nascondere la complessità e la verità della vita. Come se attraverso la deformazione, la caricatura, gli accurati manierismi si dovesse ricercare un sogno ormai perduto, antico e moderno, triste e felice, reale e illusorio insieme. Negli occhi aperti delle figure di Rubens Fogacci si specchia un mondo che bisognerebbe sognare, spinti da un’irrefrenabile sete di bellezza, ormai sempre più spesso trascurata, sottovalutata o perduta. L’artista regala ai nostri occhi il mondo di visionari come Verne, come il postino francese Cheval o Rousseau il Doganiere, che pur senza mai viaggiare seppero dare forma a nuovi mondi del tutto plausibili, perché corrispondenti ai sogni di ognuno. Lo sguardo di Fogacci si posa con rispetto sulla realtà e sui significati che essa racchiude: esso ha la capacità di aprire una porta sul’altrove, sullo stupore che l’osservatore – consapevole o meno- conserva dall’infanzia, ponendo alla sua attenzione quello che viene percepito prima ancora di ciò che viene visto e poi rappresentato. Nell’esperienza estetica di ciascuno rimane accesa la fiamma dell’infanzia, che permette di avvicinarsi senza remore al misterioso e al perturbante: nelle memorie di Man Ray e Magritte resta impressa la volontà di avanzare artisticamente verso l’ignoto senza dimenticare l’aspetto ludico del processo creativo, che sia latore di un’esperienza emotivamente coinvolgente. Memore di questo principio Fogacci si addentra tra forma e colore alla ricerca di un’armonia che mostri chiaro quale debba essere il dono per le generazioni future: la sua arte desidera spogliare la realtà, liberarla dalla sua ovvietà apparente, ricordare che, come sosteneva Calvino, “ogni esperienza è irripetibile”, foriera di percezioni vitali uniche e proprie del momento presente. Non scevro di un senso malinconico, Fogacci ci guida aldilà del velo di Maya attraverso una semplificazione per via di levare, alla ricerca di un nucleo di significati che vanno ben oltre l’apparenza estetica.